Apertura del Sinodo
Omelia di Mons. Derio Olivero
Cari amici,
fa sempre un certo effetto fare l'omelia nei
momenti solenni, di fronte a tutti voi di fronte a tutti i sacerdoti,
i diaconi, i religiosi. Sicuramente tutti voi potreste fare omelie;
i sacerdoti potrebbero fare omelie in questo momento migliore della
mia, sicuramente. E dunque verrebbe la voglia di scrivere un foglio
ben scritto, bello lungo, da leggerlo, perché oggi è un giorno solenne.
Ci ho pensato un po'. E poi non l'ho scritto, perché anche nei momenti
solenni la prima cosa importante è sentirci famiglia radunata da Dio.
Famiglia radunata da Dio: non che ripete cose solenni, ma che solennemente
fa sentire il Signore. E allora, alla luce di questo, posso permettermi
di fare una breve riflessione con voi, ascoltando il Signore: in
particolare il Vangelo, che abbiamo scelto per questa giornata.
Partendo certo dalla parola Sinodo. Oggi iniziamo il cammino sinodale,
ma non solo a Pinerolo, ma anche a Torino, Saluzzo, Mondovì, ma anche
a Milano, Palermo, Catania, Bologna, Venezia, ma anche, e questo è
il cammino nostro, che durerà 5 anni, ma anche a New York, Sidney,
eccetera, eccetera, eccetera, Parigi, Londra. Fa un certo effetto.
Ma quante migliaia di persone provano oggi a iniziare un cammino.
E dunque insieme a tutti iniziamo un cammino sinodale. Sinodo è una
parola greca, che vuol dire cammino insieme, cammino. Sapete, la
nostra vita è un cammino. Lo sappiamo, tutti siamo in cammino.
Siamo piccoli, poi cresciamo, diventano giovani, poi cresciamo,
diventiamo adulti, ma non solo dentro. Vediamo le cose in un modo,
poi, per colpa di una vicenda o grazie una vicenda, le vediamo in
un altro. Scopriamo un modo di guardare le cose in altro modo e siamo
ancora qui. Io ho 70 anni, qualcuno di voi ne 30, qualcuno ne ha 80.
Siamo ancora qui, con gli anni che abbiamo, a dire: però domani cerco,
cerco qualcosa. Cerco il me migliore che non c'è ancora.
Amici, passiamo la vita, passiamo la vita a cercare il me migliore
che non c'è ancora. Questo è essere in cammino. E allora è bello che
anche la Chiesa, è normale che anche la Chiesa sia in cammino a cercare
la forma di Chiesa migliore, che non c’è ancora, non c'è mai stata,
mai. Mai la Chiesa è stata perfetta, mai si è trovato la forma, la
migliore delle migliori. Si è trovata, perché siamo riusciti a fare
momenti gloriosi, grandiosi della Chiesa, che ha continuato a cambiare
nella storia, più o meno lentamente, più o meno velocemente, assumendo
varie forme. C'è stata la Chiesa dei padri, la Chiesa medievale, la
Chiesa della modernità, che inizia tra fine 500. E ora stiamo costruendo,
stiamo pian piano, con fatiche, costruendo la Chiesa del Vaticano II,
che i padri conciliari ci hanno indicato come la migliore per questi
nostri anni. Per questo camminiamo. Che bello! Vuol dire sentirci così
inseriti nella tradizione. Tutte le volte che hai voglia di cambiare
un po', vuol dire che sei uno che ama fino alla follia la tua tradizione.
Perché i nostri padri hanno sempre cercato di farlo questo: di camminare,
di camminare, di trovare la forma migliore. L’han fatto nei concili antichi,
di Nicèa, di Costantinopoli, di Calcedonia. L'han fatto a Trento, negli
altri concili. L’han fatto nel Concilio Vaticano II. Hanno lavorato,
sudato, pregato, invocato lo Spirito, perché la Chiesa fosse la Chiesa
più adatta per dire Gesù Cristo. Nel 500, nel 1002, nel 1006. E nel
2021, 22, 23, 24. È una grande responsabilità. È un'avventura meravigliosa.
È il nostro dovere di cristiani.
Questo, non dimentichiamolo mai. Ma diciamolo forte oggi, per fedeltà ai
nostri Padri. Noi andiamo avanti, per verità al Vangelo e alla storia
degli umani. Noi andiamo avanti. Non per pallini bizzarri, per fedeltà
al vangelo, che l'unica cosa che davvero illumina la nostra storia. Non
sono io vescovo, non siamo nemmanco noi tutti insieme; è il Vangelo di
Cristo, che ci grida: Vai avanti, sii all'altezza dei giorni che vivi.
Che bello! Fa anche paura dire tutto questo. Ma è respiro, è respiro.
E vogliamo che sia davvero respiro per le nostre comunità, per la nostra
Pinerolo, la nostra Diocesi, che amiamo, e per le singole comunità dentro
questa Diocesi. Facciamo che sia il nostro ritornello, siamo in cammino,
cammino insieme, diciamo: cammino insieme, sì insieme. Insieme noi.
Come Chiesa. E già non è semplice, perché siamo così diversi, ma siamo
tutti figli dello stesso Padre. Ricordiamocelo! Guardiamoci con fiducia,
perché siam tutti i figli. Non c'è nessuno che ha delle cattive volontà.
Abbiamo dei limiti, io per primo. Ma cattiva volontà, no. Vogliamo la
Chiesa di Gesù Cristo. Guardiamoci con fiducia, tra parrocchie, gruppi,
movimenti; fra posizioni rispetto al nostro modo di vedere le cose.
Guardiamoci con fiducia. C'è qualche ragione anche in te. Fammela capire,
non riesco a capire. E c'è qualche ragione anche in me; per favore, c'è
qualche ragione anche in me: cerca di capirmi. Che bello! Fra cristiani
bisogna sempre parlarsi così. Questo è il Sinodo nella radice.
E noi proveremo a farlo in questi cinque anni, con le forze che abbiamo,
ma sicuri che lo Spirito ci accompagnerà. Anche perché noi pensiamo ai
nostri figli, nipoti e pronipoti, siamo adulti. E gli adulti pensano non
a se, pensano a loro. Guai agli adulti che pensano a se, a preservare se.
Guai! Noi pensiamo a loro. Per questo camminiamo. Anche se abbiamo 50,
70, 80, 90 anni, noi pensiamo a loro. Per questo amiamo così. Alla luce
del Vangelo che abbiamo ascoltato. È un Vangelo che conosciamo benissimo,
ma ho scelto questo Vangelo, come apertura del Sinodo, perché ci dice
un po' i capisaldi di Come camminare. Era il Vangelo del seminatore,
la Parabola del seminatore. La conosciamo tutti. E ci dice tre o quattro
punti fondamentali.
Primo - Ci dice che questo seminatore lavora. Questo seminatore è Gesù
Cristo. Il nostro Dio è un contadino sudato, che lavora, lavora, lavora.
Questo Dio è la prima cosa da dire sempre. Quando facciamo qualche iniziativa,
ma soprattutto quando apriamo un Sinodo. Noi sappiamo che Dio è al lavoro,
che Dio sta lavorando. Ah! meraviglia questa. Più di noi, più di tutta la
Chiesa insieme, più di me vescovo, di me prete, di me padre di famiglia,
di me madre di famiglia. Dio lavora di più, oltre, oltre me e la nostra
azione. E questo, come Chiesa, vogliamo dichiararlo subito, mentre iniziamo.
Dicendo: io so che Dio è al lavoro oltre di più. E ancora di più della
mia Chiesa, che amo, perché altrimenti rischiamo di fare questa cosa,
di dire: È venuto Gesù Cristo, ha fatto tante cose belle, duemila anni
fa, poi se n'è andato e adesso ci siamo noi, la Chiesa.
Questa è un’aberrazione, lo sappiamo. La Chiesa non sostituisce Gesù
Cristo, serve Gesù Cristo, che lavora molto di più, molto più in là,
molto più in profondità, di quel che sappiamo fare noi. Siamo solo
servi. Si riferisce innanzitutto a noi. Se ci dimentichiamo questo,
la Chiesa diventa ingombrante e opaca.
Ripeto ingombrante e opaca. Ingombrante vuol dire che pensa di essere
sostituto di Dio, si crede quasi quasi Dio. E vuole spazio e pretende
sempre privilegi. Questa non è la Chiesa di Gesù Cristo, questa è
ingombrante. Il mondo ce lo sta dicendo: quella Chiesa lì non la vogliamo.
Ma neanche Gesù la vuole. È opaca. Opaca vuol dire che se metti al centro
la Chiesa, oscuri l'azione di Dio. E questo è grave. Noi come Chiesa siamo
qui solo, non a sostituire Dio, solo a farlo vedere, timidamente, in modo
profondo e fedele. A farlo vedere. Noi siamo per lui, non per noi. Saremmo
i più infelici del mondo. Siamo per Lui, per indicarlo. Bellissimo!
Dunque, primo. Se solo già nel nostro cammino un po' di più riuscissimo a dire
in modo che non so, ma che ci proveremo, il Signore è al lavoro, è un
contadino sudato. Ecco diciamo così. Non è teologico, ma è vero. Il Signore
è un contadino sudato. Giorno e notte non molla mai e lavora più di tutti
noi. Che bello! Questo ci dà fiducia.
Secondo - La parabola ci dice che Gesù, che è quel seminatore, non semina
in casa, semina fuori. E la semente ce l'aveva in casa. Voi sapete che i
contadini tenevano la semente in solaio, nel granaio. La tenevano lì e
ripetevano e ripetevano. Perché lo rigiravano, per tenerlo bene, per tenerlo
in forma, il seme. Ma poi un giorno cosa facevano: prendevano il seme e
andavano in giro, dove c'era la terra, e lo buttavano là. Questo fa il
Signore. Prende il seme e lo butta là, cioè lo mescola con la terra. Lo
mescola con la terra. Ecco il grande compito di noi cristiani "Mescolare
il Vangelo con la terra". Cioè con la cultura di oggi, con l'uomo e la
donna di oggi, questa la seconda cosa importante, che da sempre la Chiesa
ha fatto e che vogliamo continuare a fare: Mescolare il Vangelo con la
cultura di oggi. Perché, se il Vangelo lo teniamo nel granaio, se lo
teniamo qui, se lo ripetiamo uguale, uguale, uguale; se semplicemente
siamo una Chiesa che ripete verità e non le mescola con la cultura,
non genera niente. Sarebbe come un contadino che gira e rigira la semente
e non la mescola con il terreno, perché, ricordatevi, che il seme,
quando va nel terreno, marcisce. Nel mescolarsi col terreno, marcisca.
Noi abbiamo una paura folle di contaminarci con il mondo, che sarebbe
il terreno. Abbiamo dimenticato questo piccolo aspetto, l'abbiamo troppo
dimenticato. Che cosa è il mondo, cioè la società attuale, gli uomini
e le donne, così come sono. Che cos'è? È il terreno. Lo so che nel
Vangelo, soprattutto uno dei Vangeli, dice che il mondo è anche un'altra
cosa. Il mondo, la società, è il terreno. Bellissimo!
Terzo - Quel seminatore, prima di uscire di casa, non ha preteso che il
terreno fosse perfetto. Poteva prendere e dire: vado a seminare, vado
a sudare, vado a fare… Se il terreno cambia. Se il terreno è tutto buono,
ma se il terreno è un po' sassi, un po’ strada, un po' rovi. No, no, io
ci vado a seminare. Siamo una Chiesa che ogni tanto rischia di dire così:
siamo una Chiesa che ogni tanto rischia di dire così. Se il mondo fosse
diverso, ma hai visto com'è?
Nel mondo ci sta lavorando Dio e noi dobbiamo andare a vederlo, a incontrarlo,
Dio che lavora in quel mondo là. Noi dobbiamo andare a incontrarlo, quasi
a disseppellirlo, si potrebbe dire. Bello! Va a seminare su tutti i terreni.
Che sprovveduto! Un contadino, che va a seminare sulla strada, dove si
trova; che va a seminare sui rovi, dove si trova. Ma possibile! Eppure
quello è Gesù Cristo, che ci insegna e tu ci devi credere. A tutti i
terreni tu ci devi credere, a tutti i terreni, quindi devi andare a
mescolarti con tutti, credendoci, che dice un Dio che lavora, che
lì c’è un’opportunità.
È un'opportunità, addirittura per te. In tutti i terreni, tutte le persone,
i gruppi, le confessioni cristiane, e non cristiane, le confessioni cattoliche
e non cattoliche, gli altri, non credenti; gli atei, coloro che credono,
ma non vengono più in Chiesa, che non sono praticanti. Dio sta lavorando
in tutti questi. E noi? E noi dobbiamo incontrarli, con la fiducia di
trovarci Dio là, al lavoro, e di portare questo nostro contributo, di
indicarlo. E, alla fine, frutta tantissimo.
E con questo concludiamo. Noi siamo partiti da dire che Dio lavora. E
concludiamo dicendo, che Dio lavora e che è un buon lavoratore. I frutti
lui li tira fuori. A noi crederci. Sempre.
Anche quando vediamo le chiese che si svuotano. Anche quando guardiamo
le nuove generazioni, che non ci seguono; anche quando fatichiamo in
mille modi, noi a Dio continuiamo crederci. Altrimenti avremmo più
ragioni di disperarsi dei non credenti. I non credenti hanno le loro
ragioni per non avere speranza. Perché la società è difficile, con
la pandemia, l'economia. Sono aumentate le povertà, ci sono tanti
motivi di perdere la speranza. Ma se sei credente, ogni tanto guardi
la Chiesa, e si aggiungerebbero altri motivi per perdere la speranza.
Sarebbe tremendo! Noi innanzitutto guardiamo Dio, che lavora, che è
un contadino sudato, e che sa tirar fuori, potremmo dire, anche dalle
pietre, anche dalle strade, anche dai rovi.
Cioè da ogni situazione, le più varie, più diverse. Sa tirar fuori
il frutto abbondante. Noi vogliamo, innanzitutto, imparare, giorno
dopo giorno, ad essere credenti, cioè fiduciosi, capaci di mettere
in tutti quel seme, che è il seme della fiducia e della speranza.
E di metterlo on infinito amore, che è l'amore del contadino, che
perde il seme nel terreno. E sa che quel seme marcisce. Ma lui ci
crede lo stesso. Con questo stesso amore seminiamo fiducia e speranza.
In compagnia di Gesù Cristo, che ci precede.