PINEROLO

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PINEROLO  Diac.Perm.  03/11/2018    Il giardino e la donna

2. Il giardino e la donna
(Gen 2,4b-25)
Meditazione di fratel Giorgio


INTRODUZIONE. Gen 2 è di nuovo un racconto della creazione del mondo e dell'uomo. Non ha il tono solenne, "liturgico" di Gen 1, ma è più fabulistico, come tanti racconti mitologici.
I due racconti dicono le stesse cose, ma in modo diverso. Soprattutto entrambi fanno dell'uomo la creatura più importante: il cap. 1 mettendolo come vertice finale della creazione; il cap. 2 mettendolo come prima opera di Dio. E l'uomo di questi capitoli è quello di sempre, non quello delle origini.

PRIMA DELL'UOMO (4-6). Il racconto comincia descrivendo la situazione del mondo prima della creazione dell'uomo. Come già nel c. 1, è una situazione di piena negatività; un paesaggio che sa di morte: non c'è alcun arbusto, non c'è erba, non c'è vita soprattutto perché manca la pioggia mandata da Dio e manca l'uomo con il suo lavoro: "Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era nessuno che lavorasse il suolo" (5). C'è bisogno dell'incontro tra la pioggia di Dio e il lavoro dell'uomo perché il mondo è una "sinergia" tra Dio e l'uomo. Tutto dipende da Dio, è Lui che crea, ma perché il mondo funzioni c'è bisogno dell'uomo, ci vuole qualcuno che lavori le cose. La materia prima ce la mette Dio, la manodopera ce la mette l'uomo, ma stando sempre in relazione con Dio. Se no combina solo guai.

CREAZIONE DELL'UOMO (7). "Allora il Signore Dio plasmò l'uomo": l'uomo non nasce per caso, è voluto da Dio. Plasmò è il verbo del vasaio che gira e rigira il vaso tra le proprie mani sino a dargli la forma voluta; è il verbo che dice non solo il fare materialmente un oggetto, ma il creare un'opera d'arte. E tale è l'uomo! + "Plasmò l'uomo (con) polvere dal suolo"(7). L'uomo è fatto di polvere/terra, che indica semplicemente la materia. Perciò si chiama "uomo", in ebraico "adam", da "adamah", che significa "terra" (come uomo da humus), e sino al c. 4 "Adamo" non è mai il nome proprio del primo uomo, ma significa semplicemente "uomo", essere umano.

+ L'uomo è polvere (altra traduzione) che però è plasmata da Dio, che porta addosso le impronte digitali di Dio; polvere che si carica di vita perché Dio "soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente". Questo soffio di vita che viene da Dio non sta ad indicare l'anima, e neppure ancora lo Spirito Santo (non è ruah), ma indica semplicemente la vita, una vita però non solo biologica, come quella degli animali, perché degli animali non si dice che Dio soffiò in essi la vita.

+ Ecco dunque di nuovo il paradosso, già presente in Gen 1: grandezza e miseria dell'uomo. L'uomo è "plasmato dalle mani di Dio", riceve il "soffio di vita" di Dio, un frammento della vita divina, eppure è fatto di "polvere", la stessa polvere di cui sono fatti gli animali.
-> La sfida è non perdere mai di vista queste due dimensioni e saperle tenere nel giusto equilibrio.
Noi siamo materia, non un puro spirito, e ciò che siamo, ciò che facciamo, le relazioni che viviamo, tutto deve passare dalla concretezza della materia: non possiamo vivere bypassando la carne, la materia, non possiamo amare solo con delle belle intenzioni: "l'esperienza dello Spirito è un'esperienza radicalmente corporea" (A. Grillo). Ma d'altra parte se in questa materia non lasciamo entrare il soffio di Dio, tutto resta senza senso e cadiamo nel materialismo di oggi.

IL GIARDINO (8-15). "Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden e vi collocò l'uomo che aveva plasmato" (8). È subito evidente il salto dal paesaggio iniziale arido, desertico a questo giardino in cui verdeggiano "ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare", dove c'è "un fiume per irrigare il giardino, che si divide in quattro corsi", dove cioè c'è vita, e vita in abbondanza; dove ci sono elementi preziosi: oro, profumi, pietre preziose (9-14).
Al di là del significato dei vari elementi, è importante cogliere la portata simbolico-escatologica di questo giardino, che non è un luogo geografico, ma una condizione di vita piena, di profonda, bella comunione con Dio. Noi lo chiamiamo "paradiso" (perché la LXX traduce con paràdeisos il termine ebraico gan, giardino). Ma attenzione: il paradiso non è mai esistito come situazione originaria in cui non c'era fatica, né male, né sofferenza, né morte, in cui nel rapporto dell'uomo con Dio tutto filava liscio, finché qualcosa si è inceppato. Il paradiso descritto qui non è quello delle origini, ma quello della fine; è il progetto originario che Dio aveva in cuore, la "vita eterna" a cui siamo destinati, quella che con Cristo ha già cominciato a realizzarsi ma che si compirà alla fine dei tempi.

+ Ed ecco di nuovo la sinergia: il giardino è un dono di Dio all'uomo, ma un dono che l'uomo deve accogliere, custodire, far crescere: "perché l'uomo lo coltivasse e lo custodisse"(15). L'uomo è il signore del giardino, ma deve esserlo in obbedienza a Dio e senza sostituirsi a Dio. E siccome l'uomo rischia di dimenticare questo, Dio glielo spiega con la storia dei due alberi.

I DUE ALBERI (9.16-17). Tra tutte le cose belle, nel giardino ci sono due alberi un po' particolari (9), in stretta relazione tra loro.
+ C'è l'albero della vita, che è al centro del giardino, segno che al centro della creazione c'è la grazia, la vita, e l'uomo ne può liberamente mangiare.
+ E poi c'è :
- un albero che "evoca simbolicamente il limite invalicabile che l'uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare. L'uomo dipende dal Creatore, è sottomesso alle leggi della creazione e alle norme morali che regolano l'uso della libertà" (CCC 396).
- È un albero buono e gradito alla vista, come tutti gli altri, ma è sotto il segno di una proibizione: "non ne devi mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente morirai" (17). Questo è dunque un albero che può portare alla morte.
- Perciò è l'albero della libertà, una libertà che è limitata. È come per un pesce: ha tutta la libertà di muoversi dove vuole, stare vicino alla costa o in alto mare, in superficie o in profondità.... ma non ha la libertà di uscire e stare sulla terra, semplicemente perché... è un pesce!! Rivendicare per lui la libertà anche di guizzare sulla terra sarebbe per lui scegliersi la morte. Proprio come Adamo: se vuole essere uomo deve accettare che la sua libertà ha un limite; se vuole essere più di un uomo, oltrepassare i limiti della propria creaturalità, non può che darsi la morte.
Perciò non mangiare di quell'albero, cioè non sostituirsi a Dio, non è un limite alla mia libertà, ma la condizione della vera libertà, che è la possibilità di vivere obbedendo a Dio. Perché secondo la prospettiva biblica libertà e obbedienza vanno insieme e sono praticamente la stessa cosa. Non c'è obbedienza possibile se non nella libertà e la vera libertà è di poter obbedire.
-> Questo albero è lì a ricordarci che la nostra vita è così: ci sono cose che facciamo e ci fanno bene e altre che ci fanno male. È cosa evidente, banale, eppure noi vogliamo poter fare tutto, non vogliamo limiti. C'è allergia ai limiti, a un padre che ci custodisca, che ci dica: "questo non lo puoi fare".

+ Il comando, cioè la legge. È un comando che potrebbe anche sembrare arbitrario, fatto da Dio solo per tenere in qualche modo l'uomo al proprio posto, come a dire: "Io ti ho fatto, ti ho dato il giardino, tu sei signore del giardino, però di un albero io ti impedisco di mangiarne, così capisci chi è che comanda qui! E vediamo se obbedisci". Non è così che va capito.
È piuttosto il modo con cui Dio ti dice che nella tua vita c'è un limite, lo devi sapere e lo devi accogliere. Tu sei uomo, non sei Dio! Sei grande, sei plasmato da Dio, ma sei uomo solo se non ti senti un assoluto, perché c'è un Dio che sta sopra di te e delle persone che stanno accanto a te. Dio e gli altri sono il tuo limite, e se li accetti sono ciò che ti fanno essere uomo. Perciò con questo comando Dio sta solo indicando la strada per poter vivere pienamente e in piena felicità la nostra realtà di uomini.

+ Perché sotto forma di comando? In altre parole: perché la Legge, perché Dio ci ha dato dei comandamenti da osservare? Perché è grazie alla Legge che tu impari a conoscere il limite, che tu scopri l'alterità, scopri che non ci sei tu solo e che esistono pure gli altri con i loro diritti e che tu li devi rispettare. Il bambino crede di essere lui solo al mondo, e quand'è che diventa adulto, uomo? Quando diventa consapevole che esistono perché c'è anche lui e questa cosa fa male a lui; e lui è come te e deve avere il tuo stesso giocattolo". Il bambino, attraverso la legge, cioè quello che gli dicono papà e mamma, scopre che al mondo ci sono anche gli altri, che il suo spazio è limitato perché c'è lo spazio dell'altro che va rispettato. È questo che lo fa diventare adulto, lo fa essere uomo.

+ La relazione tra i due alberi. L'albero proibito è solo uno; non c'è alcun divieto per l'albero della vita, anzi, è messo al centro, perché la vita non è proibita all'uomo. Ma quando l'uomo mangia dell'albero della conoscenza del bene e del male, allora gli è vietato anche l'albero della vita (Gen 3,22). Cioè tu puoi vivere, tu sei il Signore della vita, solo se accetti di non essere Dio e di vivere in relazione di libera obbedienza a Dio. Allora la vita è tua; questa vita ci appartiene, ma ci appartiene come dono che noi riceviamo e che dobbiamo continuare a rispettare e a vivere come dono senza mai appropriarcene e senza mai dire: "Questa è roba mia e ci faccio quello che mi pare".
-> Oggi stiamo mettendo troppo le mani sulla vita!!!!

LA DONNA (18-25). Il racconto della creazione della donna non ci vuole dire da dove proviene la donna, ma piuttosto chi è la donna. E ci vuole dire che l'uomo è davvero tale solo quando ha di fronte a sé uno che gli sia pari, un altro da sé; e la fondamentale alterità per l'uomo è costituita dalla donna.

+ Gen 1 ci aveva detto che nella creazione tutto procede per il meglio, che ogni cosa che esce dalla bocca e dalle mani di Dio "è cosa buona, molto buona". Qui, per la prima volta, si dice che qualcosa non va: "Non è cosa buona che l'uomo sia solo" (18). Ciò che non è cosa buona è la solitudine, meglio, l'isolamento. L'uomo non è fatto per essere solo; è veramente uomo soltanto quando è in relazione. Dio constata che all'uomo manca qualcosa: il lavoro ce l'ha (v. 15); e ha pure la relazione con Dio, ma non basta: l'uomo ha bisogno di un partner corrispondente, adeguato, e diventa davvero uomo solo nella misura in cui conosce e vive l'alterità con qualcuno del suo livello.

+ Perciò ecco la decisione di Dio: "Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda" (18). L'uomo ha bisogno di un "aiuto", di un alleato che gli sia fedele, che gli venga in soccorso quando ne ha bisogno.
Ma un aiuto che "gli corrisponda", "gli stia di fronte", da guardare negli occhi. Una traduzione possibile e fondata è: "un aiuto contro di lui". Sì, perché l'alterità uomo-donna comporta conflittualità, è una differenza che genera tensione: l'uomo e la donna sono fatti l'uno per l'altra, ma al tempo stesso sono un problema l'uno per l'altra. Eppure abbiamo bisogno di qualcuno che ci metta in discussione, che ci contraddica, e così ci ricordi il nostro limite. Solo la relazione limitante ci fa diventare uomini. L'uomo terminerà di essere creato per mezzo delle contraddizioni; dovrà accettare di aver bisogno di essere contraddetto per essere finalmente se stesso.
? Questa diversità e questa conflittualità vanno accettate: io nasco uomo diverso dalla donna o nasco donna diversa dall'uomo, e non solo di una diversità fisica. L'incontro tra queste due diversità si risolve solo nella via della reciproca sottomissione, non con l'annullamento della diversità.

+ Ma prima di creare la donna, Dio crea gli animali: "Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo..." (19). Mettendo gli animali davanti all'uomo e chiedendogli di imporre loro un nome, Dio sta come aiutando l'uomo a fare discernimento, a dare un nome alle cose che ha davanti, che sta vivendo. L'uomo deve trovare la sua sposa: è Dio che gliela darà, ma lui la deve riconoscere, diversa da tutti gli animali, che non gli risolvono il suo problema esistenziale; che non colmerà la sua solitudine semplicemente perché si potrà accoppiare sessualmente, come gli animali: la sua unione con un'altra creatura che gli corrisponde sarà la tensione verso "una sola carne", cioè una comunione personale. Ecco perché davanti agli animali l'uomo non trova un aiuto che sia contro di lui. "L'uomo impose il nome a tutto il bestiame... ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse" (20).

+ Cosa serve per trovare un aiuto che ci sia simile? Ci vuole il sonno! Una bella dormita? No. E neppure un'anestesia in vista dell'intervento chirurgico! È un torpore: "il Signore fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse uno dei lati e richiuse la carne al suo posto. Il Signore formò con il lato che aveva tolto all'uomo una donna" (21-22). Per trovare chi amare, chi ci corrisponde, dobbiamo entrare nella zona dell'impotenza, dell'incomprensione, come quando dormi. L'uomo non deve vedere nulla e quindi non può dire nulla sul come di questa creazione: resta il mistero. La donna è un dono: la donna della mia vita non me la scelgo io, non me la faccio io, ma è Dio che me la fa trovare accanto. ("Dono e mistero" è il titolo del libro di GPII sul sacerdozio).
Il Signore crea la donna dal "lato" dell'uomo (la costola non c'entra niente): c'è una separazione dei lati che rende possibile il faccia a faccia; la donna non deve stare al fianco dell'uomo, ma stargli di fronte. Dio separa per unire, separa in vista di una comunione.

+ A questo punto, come un padre che porta a braccetto la sua figlia in chiesa per consegnarla allo sposo, Dio "la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: Questa volta è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne. La si chiamerà donna (ishshah) perché dall'uomo (ish) è stata tolta" (23). La donna è tratta dall'uomo, cioè uguale a lui, seppur separata, diversa da lui.

+ È interessante notare che qui è la prima volta che l'uomo parla! E sono parole di stupore, di felicità, la felicità di trovarsi parente (osso delle mie ossa...) con qualcuno che è estraneo, perché Dio l'ha plasmata con qualcosa che è suo. La moglie è un'estranea che diventa tua parente.
E ora che c'è la donna l'uomo passa finalmente alla condizione adulta: "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre...". Ma è necessario una rottura con i propri legami familiari, altrimenti la loro unione sarà fortemente minacciata. La capacità di sposarsi sta anche in questo saper abbandonare!

+ "Tutti e due erano nudi e non ne provavano vergogna": erano in armonia tra loro, perché le loro relazioni erano sane, limpide, belle e non avevano bisogno di nascondersi l'uno dall'altra. Quando in una relazione cominciamo a coprirci, a truccarci, a fingere, vuol dire che la relazione non funziona più.
Perché cos'è la nudità e la vergogna connessa? Non c'entra niente qui il comune senso del pudore. Essere nudi vuol dire esporsi all'altro per quello che si è, con i propri limiti e difetti, essere simbolicamente senza difese e senza più segreti. "Erano nudi", cioè esposti l'uno all'altro, in balia l'uno dell'altro, ma non avevano motivo di averne paura. Questa è la meraviglia del volersi bene: due persone che possano fidarsi talmente uno dell'altro da giocarsi la vita intera, per sempre, senza paura e senza segreti.

CONCLUSIONE. Adesso Adam è tob, è buono, bello, completo. Questo è il progetto, il sogno di Dio sull'uomo. Un uomo che vive nell'assoluta reciprocità, che vive nella libertà dell'obbedienza, che gestisce la vita come dono di Dio, che non si sostituisce a Dio, un uomo che rispetta l'altro e sa di aver bisogno dell'altro, che sa di essere costitutivamente relazione e insieme bisogno. Questo è il sogno che Dio ha sull'uomo e solo così l'uomo è se stesso, solo così può raggiungere la felicità.

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