IL PRIMO "SINODO"
(At 15,1-20)
INTRODUZIONE
Come Chiesa universale abbiamo cominciato un Sinodo che ruota attorno al tema
della "Sinodalità", caratteristica che dovrebbe animare sempre la comunità
cristiana, cioè la capacità di camminare insieme. Papa Francesco vuole che,
in questa prima fase, ci mettiamo tutti in ascolto, gli uni degli altri,
cercando di cogliere la voce dello Spirito dentro gli eventi che stiamo
vivendo, per capire cosa il Signore vuole oggi dalla Chiesa, quali strade
ci sta preparando. E a livello di Diocesi anche voi avete messo in atto
certe iniziative per rendere fecondo questo tempi di discernimento.
-> Ma noi lo desideriamo davvero di conoscere la volontà di Dio su questa nostra Chiesa?
+ Nel ritiro di oggi tentiamo qualche considerazione su cosa vuole dire
fare Sinodo, camminare insieme, discernere insieme. Lo facciamo a partire
dalla Parola di Dio, dove non cerchiamo discorsi programmatici su cosa
vuol dire sinodalità, ma andiamo a vedere semplicemente come la Chiesa
delle origini ha tentato di vivere la sinodalità. Un punto strategico,
non certo l'unico, da cui guardare questo è il "primo Sinodo", il cosiddetto
Concilio di Gerusalemme, avvenuto nel 51.
Se partiamo dalla Parola di Dio è perché essa ha sempre un valore paradigmatico:
nella Chiesa persone e situazioni cambiano sotto molti aspetti, ma c'è una logica
costante, che è quella dello Spirito, che deve permanere, ed è questa che la Parola ci ricorda.
IL PROBLEMA affrontato da quel primo Sinodo è noto: c'è posto o no per i
pagani nella nuova "via" tracciata da Cristo? E se sì, a quali condizioni?
"Se non vi fate circoncidere secondo l'usanza di Mosè, non potete essere
salvati... È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la Legge
di Mosè" (1.5). Problema serio, di vitale importanza per il cammino della
Chiesa delle origini.
+ A noi non interessa guardare al problema in sé, ma cogliere alcuni aspetti
che ce lo rendono attuale, perché ci sono forse delle analogie, similitudini
tra quella situazione e quella di oggi.
E l'analogia più forte è questa: il "nuovo" suscita problemi, a cambiare si
fa fatica. La "conversione dei pagani" (14,27; 15,3.7ss.) è un fatto nuovo
per la Chiesa delle origini, del tutto inaspettato, bello, che "suscita gioia" (3).
Ma non per tutti! Esso crea anche dei problemi, come sempre accade quando
qualcosa di nuovo irrompe nella nostra vita, personale o di Chiesa, perché
costringe a rivedere il "si è sempre fatto così" e a cercare nuovi equilibri,
nuove vie da percorrere. Ogni parto è sempre una grande sofferenza, una vita
nuova che nasce comporta una grande travaglio.
+ È sempre difficile aprirsi al nuovo, abbandonando il vecchio, ma senza rinnegare
i valori del passato. Perché il vino del Vangelo è di quello buono, ed è sempre
nuovo, ma gli otri invecchiano e ogni tanto vanno cambiati. Concretamente qual
è questo vecchio che va abbandonato?
- là: la Chiesa esce dal giudaismo, pur rimanendo in continuità con la storia
della salvezza iniziata da Dio con Israele (e anche noi oggi continuiamo a
leggere anche l'AT).
- qui: la Chiesa sta uscendo da 16 secoli di cristianità e facciamo fatica a
staccarcene, viviamo di inutili nostalgie, sogniamo che torni una Chiesa che
ormai è morta.
IL CAMMINO VERSO LA SOLUZIONE.
+ Il momento era delicato. Il problema dell'accoglienza dei pagani nella Chiesa
non era nato ad Antiochia, ma ad Antiochia aveva assunto i suoi contorni più
netti, fino a generare una pericolosa spaccatura all'interno della comunità
cristiana, persino tra Pietro e Paolo, su come affrontare questa novità e la
cosa rischiava di allargarsi a tutta la Chiesa.
-> Questa è l'aria che tira anche ai nostri giorni: quanta divisione dentro
alla nostra Chiesa! Del resto è ingenuo sognare una comunità dove si va sempre
tutti d'accordo, dove non si insinua mai l'opera del Divisore.
Ma qui abbiamo indicazioni interessanti per ogni comunità che deve trovare
soluzione a dei problemi (Chiesa, Parrocchia, famiglia..). Dunque non entriamo
nel merito della questione, ma guardiamo al metodo con cui è stata affrontata.
RIFERIMENTI. Dove andare a cercare, chi o cosa interrogare per discernere
la volontà di Dio?
+ Discernere a partire dai fatti. Davanti al problema di discernere come vivere
quella situazione nuova, quale strada percorrere, dove stava la volontà di Dio
si sarebbe potuto procedere sulla base di grandi principi teologici (e Paolo
aveva tutti i numeri per poterlo fare). E invece ha prevalso un'altra strada:
sia Paolo e Barnaba che anche Pietro partono dai fatti, prendono atto di ciò
che Dio sta già operando, e lì vi leggono dei segni di Dio, in questo caso
l'adesione alla fede dei pagani e il dono dello Spirito anche a loro (8-9).
"Paolo e Barnaba attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la
conversione dei pagani... Giunti poi a Gerusalemme riferirono quali grandi
cose Dio aveva compiuto per mezzo loro" (3-4) e ancora: "Tutta l'assemblea
tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quali grandi
segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro" (12).
E lo stesso fa Pietro, raccontando come Dio lo aveva scelto per portare la
Parola del Vangelo ai pagani (7).
ïƒ Quando dobbiamo discernere la volontà di Dio su di noi o sulle nostre comunità,
non mettiamoci troppo a ragionare, ma cerchiamo di saper vedere ciò che
concretamente il Signore già sta operando. "La realtà è superiore all'idea"
(EG 233?) Altrimenti cadiamo in una "pastorale del miraggio"...
+ E se i fatti sono così importanti, dobbiamo trovare il tempo di raccontarceli!
"Riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro",
come fanno Paolo e Barnaba e Pietro (Cf. 4.7.12). In una comunità deve esserci
il tempo per raccontare, per gioire insieme, per scoprire insieme quanto il
Signore sia presente e operante nella loro storia, e nessuno rivendica per
sé qualche merito.
-> Noi abbiamo questa semplicità di non tenerci le cose belle per noi, ma di
condividerle? E sappiamo riconoscere che le cose belle sono opera di Dio,
anche quando le ha portate avanti per mezzo nostro, o vogliamo attribuirci
il merito principale?
+ Il riferimento alla Scrittura. Ma poi i fatti vanno interpretati. Ecco allora
il ricorso alla Scrittura, che qui emerge soprattutto nell'intervento di Giacomo
(ma in tutti i passaggi cruciali di At c'è sempre questo riferimento): "con questo
si accordano le parole dei profeti..." (15).
+ Parola ed eventi sono i due riferimenti per un discernimento che sia spirituale,
che cioè voglia cogliere la voce e l'azione dello Spirito Santo. Perché la rivelazione
è "gestis verbisque" (DV 2), e dunque la Bibbia e il giornale di Barth, di don
Barra. Il discernimento si fa a partire dalla Parola di Dio e dagli eventi della
storia, che noi sappiamo essere entrambi gravidi dello Spirito. La Parola credo
essere Parola "ispirata"; come "ispirati" sono gli eventi della storia, perché
credo che "lo Spirito di Dio pervade l'universo".
+ Ma questo ancora non basta a venire fuori dall'impasse. E allora ci vuole anche
il riferimento all'autorità. Le posizioni sono contrastanti ma alla fine si
fa riferimento alla comunità madre di Gerusalemme (2), cioè agli Apostoli e
anziani che la presiedevano. L'autorità, nella Chiesa, è accolta e rispettata
come un servizio prezioso a favore dell'unità. Senza questo rimettersi al giudizio
finale dell'autorità allora, come oggi, se ne sarebbero andati ciascuno per la sua strada.
ATTEGGIAMENTI E DISPOSIZIONI INTERIORI
+ La preghiera. Nel nostro testo non viene fuori in modo esplicito, anche se
tutto il racconto di At è pieno di momenti di preghiera. Leggere la vita e
leggere la Parola bisogna farlo con gli occhiali giusti: tutto va letto in
una prospettiva di fede: ci vuole la preghiera!! Non ci basta la filosofia,
la sociologia, la psicologia e tutte le altre scienze umane per capire la
storia, come non ci basta solo l'esegesi e la teologia per capire la Parola.
Dobbiamo fermarci a pregare per "ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese".
+ Salvare i valori di fondo. In ogni discussione ognuno dice la sua. Ma bisogna
cercare sempre di mettere a fuoco quali sono le cose davvero importanti e non
perderci in quelle secondarie. Allora la verità assoluta da cui deve dipendere
ogni decisione da prendere è: "noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù
siamo salvati" (11), e non per l'osservanza dei comandamenti. Il cristiano non
"si salva", ma "è salvato" dalla Grazia, cioè dall'amore gratuito di Dio. E
questo vale per tutti e per sempre. Perché è così facile credere che con qualche
nostro colpo di genio, con qualche iniziativa innovativa possiamo salvare il
naufragio della Chiesa, o della Parrocchia, o della comunità.
+ Attenzione alle persone, non alle leggi. Il rischio è sempre quello di attaccarsi
alla rigidità delle leggi (per dei cristiani provenienti dal giudaismo era
"la Legge": "è necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la Legge
di Mosè" - 5) e perdere di vista le persone. In una comunità c'è la Regola, ci
sono gli Statuti; nella Chiesa c'è il C.I.C.... Ma "la legge suprema della Chiesa
deve sempre essere la salvezza delle anime" (C.I.C. 1752), l'amore! Era la
prospettiva di Gesù, accusato più volte dai farisei di non rispettare il sabato,
di non digiunare: "il sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il
sabato". E su questo Francesco sta lavorando molto.
Attenzione alle persone significa anche attenzione al giudizio sulle persone:
solo Dio conosce i cuori (8) (cf. la situazione dei separati e divorziati...)
+ Saper tacere, cioè ascoltare: "Tutta l'assemblea tacque e stettero ad
ascoltare Barnaba e Paolo" (12): è il silenzio che accoglie la parola di
Pietro ed è pronto ad accogliere la testimonianza di Paolo e Barnaba. Solo
se si tace si può ascoltare l'altro. Se dentro non faccio silenzio e continuo
a mormorare e a inseguire le mie idee, non riuscirò mai ad ascoltare l'altro.
-> I nostri Consigli Pastorali sono spesso un dialogo tra sordi: tutti parlano,
ma pochi ascoltano!
+ Saper discutere (e anche dissentire). Non tutte le teste sono uguali, e
qualcuno può vedere le cose diversamente. Effettivamente dei pericoli c'erano
sul modo di "gestire" questa bella novità, e sono gli stessi pericoli di oggi.
Il rischio poteva essere quello di un pigro lasciar correre tutto, senza
preoccuparsi troppo di quanto stava accadendo, o di scegliere un facile
compromesso che accontenti tutti ("ognuno voti secondo coscienza", cioè
ognuno faccia come gli pare meglio); oppure, all'opposto, il rischio di
rimettersi a un autoritarismo deresponsabilizzante, accogliendo senza
pensarci troppo quanto veniva indicato dagli Apostoli.
Invece si è percorsa la strada del parlarsi, spiegarsi, sostenere le rispettive
posizioni, discutere anche animatamente: "Paolo e Barnaba dissentivano e
discutevano animatamente" (2);
"Sorta una grande discussione Pietro si alzò..." (7).
+ Questo saper parlare e saper ascoltare (cosa tutt'altro che scontata), detto
in altro modo è: saper dare e saper perdere. Tutti i protagonisti danno il loro
contributo: Paolo e Barnaba mettono sul tavolo ciò che concretamente avevano
visto accadere al loro annuncio del Vangelo; Pietro porta la sua esperienza
avuta a Cesarea; Giacomo si rifà alle Scritture; la comunità di Antiochia alla
fine si rimette al giudizio degli Apostoli e degli anziani. Tutti hanno dato
qualcosa e tutti hanno dovuto cedere su qualcosa: i cristiani più legati al
giudaismo dovevano saper accogliere la novità che Dio stava operando; quelli
provenienti dal paganesimo dovevano imparare la convivenza con gli altri.
+ Ma per saperci ascoltare e per saper anche perdere qualcosa, e così insieme
trovare la via di Dio, è fondamentale la libertà da se stessi, il non essere
ostinatamente attaccati alle proprie idee.
E dunque essere disponibili alla conversione, a cambiare idea e atteggiamenti.
Non fu semplice affrontare la cosa per gli Apostoli e i primi discepoli, perché
provenivano tutti dal giudaismo e dunque erano molto attaccati a tutta la
tradizione antica, erano inquadrati. Se la questione era la conversione a
Cristo dei pagani, è pur vero che i primi a doversi convertire erano proprio
gli Apostoli: è richiesta un'apertura al nuovo che non avevano messo in conto.
-> Non arriveremo mai da nessuna parte se ci sediamo insieme a un tavolo solo
con la pretesa che gli altri accolgano il mio punto di vista. Non siamo molto
diversi dalle delegazioni russa e ucraina quando si trovano per negoziare.
CONCLUSIONE
+ Il "nuovo" da accogliere, da "discernere", non è il mio o il tuo, e non è
nemmeno principalmente il nostro, raggiunto democraticamente attraverso il
compromesso delle diverse posizioni. è il nuovo dello Spirito che insieme
cerchiamo di intravedere, di ascoltare perché, con noi e in noi, è lo Spirito
il protagonista principale della storia della salvezza. Nella Bibbia "nuovo"
è un aggettivo sempre riferito all'azione di Dio.
+ In tutto questo processo emerge una chiara testimonianza di ciò che si chiama
collegialità, cioè un ricercare insieme la verità. è la dimensione
della comunione,
fondamentale per il discernimento. Gli Apostoli non agiscono mai come gruppo
isolato dal resto della comunità; a Gerusalemme si ritrovano a discutere gli
Apostoli, gli anziani, la comunità della Chiesa madre, Paolo e Barnaba e
rappresentanti della Chiesa di Antiochia.
E quando c'è comunione, lo Spirito Santo (che è lo Spirito della comunione) è
sempre all'opera. Per questo nella lettera conclusiva di quel primo sinodo si
potè dire: "È parso bene allo Spirito Santo e a noi" (28).
+ Dunque comunione. E poi "partecipazione", la seconda parola del motto di questo
sinodo (comunione, partecipazione, missione). Che significa "prendere parte", non
prendere "una parte", una porzione soltanto dell'eredità che ci ha lasciato Gesù.
Raccogliere il tutto significa saper vedere ovunque i doni di Dio, come in un
prato devo saper vedere i colori e odorare il profumo di ogni fiore, non solo
del mio o di quelli come me.
Solo così ci potremo presentare in modo credibile per ogni tipo di missione.
+ Questa è la sinodalità testimoniata dalla Chiesa delle origini. Questo è il
modo con cui la Chiesa di sempre deve affrontare il proprio cammino. Questo
Sinodo che Francesco ha voluto non è un evento, ma uno stile (Castellucci),
un modo di essere come Chiesa.
[+ Giovanni XXIII (forse da Cipriano): "Nelle cose necessarie la comunione,
in quelle non necessarie la libertà; in tutte la carità"]